venerdì 25 maggio 2012

LA RAGAZZA CHE PARLAVA CON I PESCI



LA RAGAZZA CHE PARLAVA CON I PESCI
di  Magda Tamborini

Clementina, capelli scuri e carnagione chiara, mite di carattere, senza troppi amici, era una ragazza chiusa e non dava molte confidenze alle persone, per questo amava andare a pescare, con la sua barchetta di legno e la sua canna, sul lago d’Orta. Lei parlava con i pesci, erano i suoi amici, i suoi confidenti, le persone a lei care; non li catturava mai, gettava l’amo e poi rimaneva lì seduta sulla barca,  sulle rive di Lagna, luogo desolato del lago d’Orta, ad aspettare che i pesci venissero a galla per ascoltarla, ma se per sbaglio qualche volta un pesce si attaccava all’amo lei lo liberava velocemente con le sue mani candide e premurose.
La canna da pesca era praticamente un alibi per lei, così se qualcuno la vedeva là tutta sola non osava avvicinarsi per non disturbare la sua pesca; in paese si raccontavano molte storie sulla ragazza, la gente parlava ma Clementina non badava alle voci delle donne pettegole perché l’unica opinione che le interessava davvero era quella del suo babbo, l’unico, oltre ai pesci, che la capiva davvero. Dopo la morte della madre Clementina diventò una ragazza introversa e non aveva più il sole negli occhi, si sentiva incompresa e  vedeva sempre il lato negativo della vita. Non lasciava entrare nessuno nel suo mondo, nessuno al di fuori dei pesci. 
Clementina amava stare su quella barchetta, in quel lido, amava riflettere sulla crudeltà della vita, su quello che accadeva nel mondo, il suo mondo. Era una ragazza diligente, brava a scuola ma tutti dicevano che era una povera pazza. Clementina studiava, mangiava, pregava e si rifugiava sulla piccola barchetta in legno che le aveva costruito suo padre per il sedicesimo compleanno, non voleva parlare del suo passato e ancora meno le piaceva dare spiegazione agli altri su quello che faceva; solo in mezzo al lago amava parlare ad alta voce del futuro, di quello che accadrà; era una sognatrice incompresa, cercava qualcuno su cui poter contare, qualcuno che riuscisse a varcare le porte da lei chiuse.  Questo era il sogno irraggiungibile, quello che lei non sperava di raggiungere; poi c’erano sogni più malinconici come la sua mamma che purtroppo era rimasta solo nei suoi ricordi. Lei non permetteva a nessuno di varcare la soglia che aveva tracciato, non permetteva a nessuno, forse nemmeno a se stessa, di lasciarsi andare e di vivere davvero la vita da adolescente.
Clementina, una ragazza di cui nessuno ha mai raccontato la storia, forse perché troppo surreale per poterci credere, forse perché nessuno ebbe mai il coraggio di comprendere la sua diversità, è stata data in pasto al lago dal suo stesso popolo.
Clementina stava sul lago, giorno dopo giorno, non cambiava mai posto, si fermava sempre dove la corrente era scarsa, dove c’era l’ombra della montagna, dove nessuno la osservava; la piccola stava lì e nessuno badava a lei ma lei badava al lago, ai pesci, alla natura e si accorse che piano piano qualcosa stava cambiando, che il suo lago, il suo confidente, si stava trasformando e i suoi pesci non c’erano più. Tutto quello a cui lei teneva davvero stava scomparendo e al suo posto  si sostituiva un’acqua scura e putrida che nessuno osava denunciare, a cui nessuno dava peso. Lei si accorgeva, si stupiva, piangeva da sola, non denunciava l’accaduto per paura  di essere guardata troppo. Così rimaneva là sulla sua barchetta senza nemmeno più i suoi pesci ad ascoltarla, c’era solo lei, la sua disperazione, la sua paura, i suoi sogni infranti.
Un giorno seduta come sempre sulla sua barca si guardava in giro per cercare qualcuno che potesse ascoltarla, qualcuno che badasse a lei, ma c’era solo lei con la sua disperazione; si guardava intorno, osservava le montagne fino a che dall’acqua non vide qualcosa di scuro, fermo, senza vita; si gettò verso quella cosa: era un pesce morto, con gli occhi piccoli e rossi fuori dalle orbite, un colore bianco di morte e una freddezza che fece congelare il sangue alla povera ragazza. Clementina in preda al panico cominciò a piangere come una disperata e si sollevò in cerca d’aria, con il pesce tra le mani; era sconvolta, si rendeva conto che non c’era più nulla da fare perchè quella maledetta fabbrica che tutti adoravano stava rovinando il suo mondo perfetto. Clementina percorreva la barchetta da un capo all’altro, piangendo disperata senza  capacitarsi dell’accaduto; inciampò in una corda e cadde in acqua, con il pesce tra le mani e si lasciò andare a fondo senza lottare per la vita, senza lottare per quel suo mondo ormai perduto.
La barca rimase immobile sull’acqua, tutto taceva e nessuno si accorse dell’assenza della ragazza fino a sera quando il padre andò a cercarla: vide la barca vuota e capì.
L’uomo, devastato dal dolore, denunciò l’accaduto al paese e raccontò tutto quello che la povera ragazza aveva scoperto.  Tutto diventò di pubblico dominio ma nessuno badò alla storia di quel padre straziato dal dolore; così tutto finì.
Oggi c’è una barca che nessuno osa togliere da quel posto, nessuno osa nemmeno pensare al dramma e nessuno bada più da molto tempo alla storia della povera Clementina che giace ancora sul fondo del lago d’Orta.
Questa storia andava raccontata, bisognava far rivivere i sogni di Clementina.

Ispirato al ricordo della Poldina, l'unica che poteva accorgersi dell'inquinamento del lago.
Fonte: Francesco Ruga, E vanno indietro gli anni miei, Widerholdt  Frères 2010

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