venerdì 25 maggio 2012

IL RICORDO DI UN LAVORO



Il RICORDO DI UN LAVORO
di Martina Marotta

La Bemberg era chiusa da anni, ma non c'era giorno in cui l'anziana signora Sillani non facesse un giro da quelle parti. Si svegliava presto ogni mattina, come faceva da giovane, e con il suo piccolo gatto nero si dirigeva verso la fabbrica in disuso. Rimaneva a contemplarla per qualche ora, girandole intorno lentamente: le finestre rotte, i macchinari non più in funzione. I cancelli chiusi, arrugginiti. Tutto era finito ma lei non aveva ancora perso quell'abitudine che ormai faceva parte della sua quotidianità.
La Bemberg le aveva dato un lavoro sicuro, un obiettivo per cui alzarsi dal letto alla mattina. E poi lì si conoscevano tutti. Si stava in compagnia dei propri amici, si eseguiva un lavoro piacevole e poi si tornava a casa, con il pensiero di aver fatto qualcosa di buono per cui sarebbero stati ricompensati.
Starsene ferma a fissare l'edificio la faceva sentire meno sola e inutile.
La fabbrica, come lei, era stata abbandonata e la signora sentiva di avere qualcosa in comune con quel posto che tanto le aveva dato. La gente, che la vedeva immobile ad ammirare quella massa di cemento ormai inutilizzata, la credeva pazza e, per giunta, aveva sempre con sé un gatto nero, segno di sventura.
Tutti si tenevano lontani da lei, ma alla Sillani non importava. Le bastava andare alla fabbrica e tutto le sembrava più facile.
Recarsi lì ogni giorno significava un po' tornare indietro nel tempo.
Lei sapeva che la fabbrica inquinava il lago. Ma era rimasta in silenzio. Non le andava il fatto che la Bemberg distruggesse l'ambiente ma aveva pensato che parlando la fabbrica sarebbe stata chiusa. La verità, però, venne a galla anche senza il suo intervento e, non riuscendo a limitare i danni procurati al lago, accadde proprio ciò che la signora Sillani temeva di più.
Da quel giorno era iniziata l'ossessione di avviarsi alla Bemberg ogni mattina.
Qualche volta lei stessa pensava di impazzire. Aveva provato a darsi ad altre attività ma non era riuscita a farne a meno.
Il gatto nero lo aveva trovato per caso e lo portava con sé nelle sue lunghe passeggiate. Parlava anche, con l'animale. Sembrava che la capisse. Comprendeva la sua solitudine, il suo dolore, il suo sentirsi inutile di fronte a quel mondo che aveva tanto bisogno di aiuto. Intuiva la sua sofferenza nel non poter più lavorare nell'amata fabbrica.
La signora Sillani sapeva che presto sarebbe arrivata anche la sua ora. Nessuno l'avrebbe ricordata, perché nessuno le rimaneva. L'unico desiderio che portava nel cuore era quello di poter entrare alla Bemberg un'ultima volta prima di esalare l'ultimo respiro. Desiderava rivedere i macchinari, riudirne i suoni assordanti, ascoltare il chiacchiericcio dei dipendenti, ricevere i sorrisi del direttore per l'ottimo lavoro svolto.
Purtroppo per lei, neanche quest'ultimo sogno si avverò mai.

Il racconto è ispirato alla Bemberg, ai sogni di tanti lavoratori e alla delusione nel vedere l'attuale abbandono

 


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