venerdì 25 maggio 2012

CUCIRE E TAGLIARE SCARPE PERFETTE - CUTTING AND SEWING PERFECT SHOES


CUCIRE E TAGLIARE SCARPE PERFETTE
di Magda Tamborini
tradotto da Elena Giuliano, Ilenia Martorana, Roberta Montanaro

Ed  eccolo lì, con il suo cappotto lungo, il cappello nero e la valigia di pelle; come tutte le mattine sta passando sotto casa mia per poi sedersi sul muretto cento metri più in là a lustrare le scarpe della gente che passa.  E' il signor Giromini, un calzolaio del mio paese, Gargallo, che si ferma su quel muretto tutti i giorni, per lucidare scarpe di dottori, ritirare e consegnare calzature di ogni genere.
Mio padre mi manda sempre a portare le scarpe nere, quelle belle e lucide, artigianali, da pulire o da risuolare. Le ha fatte il signor Giromini appena iniziata l’attività da calzolaio; mio padre ci tiene, dice che rappresentano il futuro. 
Per me il signor Giromini era come uno zio; passavo molto tempo insieme a lui, mi divertiva guardarlo mentre sistemava le scarpe e, quando ero bambina, mi portava sempre delle caramelle buonissime. Trascorrevo ore ad osservare le sue mani d’oro cucire, lucidare, risuolare e impacchettare scarpe perfette; quel lavoro mi affascinava .
Un giorno mi fece pulire delle scarpe fatte su misura per il signor ***; mi innamorai subito di quella professione, anzi di quell'arte: l’arte del calzolaio. Tanti lo vedevano come una persona che sfregava scarpe sporche tutto il giorno ma io lo vedevo come un artigiano che dava una forma, che cuciva, che intagliava cuoio, che creava abiti perfetti per i piedi dei Gargallesi. Mio padre era d’accordo se stavo con il signor Giromini ma mia madre diceva che non era una cosa da ragazze. Io cercavo di tenere le parti di mio padre e quindi riuscivo sempre a passare giornate intere ad osservare quelle mani maestre che rendevano perfette anche le scarpe più semplici.
Dopo un anno che facevo lavoretti con il signor Giromini, chiesi a mio padre di  poter diventare la sua apprendista; lui rimase perplesso ma dopo un’analisi accurata della situazione decise che era una giusta professione, più che degna per me. Disse una frase che mi rimase nel cuore - So che farai il futuro sui piedi della gente, figlia mia. -
Lavorai duramente per giorni e giorni per cercare di cucire quei pezzi di cuoio ricamato, per cercare di dare omogeneità e splendore alle scarpe, interi pomeriggi a lucidare e lavorare, mi piaceva molto. Giromini mi diceva sempre che le mie mani erano abili nel fare scarpe e che sarebbe stato molto felice di avermi come socia nel suo lavoro. Io accettai e lavorai ancora più sodo perché sapevo che era un impegno importante; facevo molti sacrifici, le mie mani erano sempre bucate e tagliate per via degli aghi e dei macchinari per la lavorazione.
Il mio impiego mi piaceva parecchio e il signor Giromini ingrandiva sempre di più le sue frontiere, forniva le scarpe a molti paesi intorno a Gargallo. Il lavoro era molto e decidemmo di aprire una vera e propria fabbrica e così il giorno 17 maggio del 1922 fondammo un’azienda. Passavamo tutto il tempo a lustrare e fare scarpe. Quel luogo e quelle calzature erano la nostra vita.
Fu l’inizio di un impero, il nostro impero delle scarpe fatte a mano, perfette ai nostri occhi.
 Io e il signor Giromini passavamo giorni e giorni a cercare la precisione nel ricamo e nell’intaglio del cuoio; cercavamo la forma perfetta, quella che non esisteva ancora. Ci ossessionava, volevamo pensarla, costruirla, fabbricarla, ma era impossibile; le ore passate a lavorare erano incalcolabili.
Cercavamo la perfezione in tutto e per tutto, eravamo concentrati su un unico obbiettivo: trovare la giusta mescolanza tra l’estrema raffinatezza e la comodità di una suola morbida. Troppo concentrati a inseguire l’impossibile non ci rendemmo conto che la fabbrica stava andando in rovina, si stava logorando anche lei nella nostra ricerca disperata della scarpa perfetta.
Trentacinque anni dopo ci scontrammo con debiti e con insuccessi, tutti dovuti alla nostra ossessione. L'errore commesso, ormai era irrimediabile; così il 29 Settembre dell’anno 1957 la fabbrica, il nostro impero perfetto, cadde definitivamente in rovina.
La perfezione non esiste, non poteva esistere.
Ora la fabbrica è un rudere spoglio e senza vita che si regge gemendo, chiede aiuto e mostra l’impossibilità della perfezione.

Ispirato all'antica presenza dei calzolai a Gargallo

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